Ogni committente, sia pubblico che privato, è obbligato alla valutazione preliminare di tutti i rischi residuali di un cantiere, da quello bellico, a quello archeologico, a quello ambientale.
Capita spesso, infatti, che durante gli scavi di un’opera si scoprano nel terreno ordigni bellici inesplosi, manufatti archeologici e/o siti inquinati.
Ma perché allora non trasformare un obbligo normativo in un vantaggio competitivo? La valutazione dei rischi è svolta tramite tecniche di analisi, che consentono di mitigare se non annullare le principali cause di fermo cantiere e di conoscere la reale posizione dei sottoservizi, con enormi risparmi in termini di tempo e denaro.
La “Valutazione del Rischio Bellico” consiste nel valutare, attraverso una serie di informazioni e dati, la possibile (più o meno elevata) presenza, nelle aree soggette a lavorazioni, di residuati bellici esplosivi che possano costituire un pericolo per le maestranze e/o per l’opera.
Per una corretta valutazione del rischio residuale bisogna tenere presente che:
• tutta l’Italia è stata teatro di eventi bellici;
• si stima che sull’Italia siano state sganciate (solo dagli Inglesi) circa 200.000 tonnellate di bombe;
• 9.200 tonnellate di queste bombe furono sganciate sui centri abitati;
• ogni anno vengono rinvenuti oltre 60.000 ordigni (dati Ministero dello Difesa);
• nel 2013 ci sono stati 11 feriti gravi per l’esplosione accidentale di residuati bellici esplosivi;
• 35.000 operazioni eseguite dagli Artificieri dell’Esercito italiano negli ultimi 10 anni, molte delle quali in Veneto;
• oltre 750 ordigni fatti brillare nel 2019, a fronte di più di 8.000 residuati bellici ritrovati nel 2018, come riportato nel TGR Veneto dell’11 Aprile 2019 (Vedi Sezione NEWS).
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